UN RAGGIO DI SOLE ATTRAVERSA IL CIELO PLUMBEO DELLA PREVIDENZA

di Michele Poerio

 

Il 30 aprile u.s. è stata depositata la sentenza n° 70/2015 con la quale la Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione per tutte le pensioni superiori a tre volte il minimo INPS (1.405 € lordi mensili dell’epoca) per gli anni 2012/2013 deciso dal governo Monti con la cosiddetta manovra “Salva Italia” imposta dalla Troika e che,visti i risultati,possiamo definire senza tema di smentite “Ammazza Italia”.

 

Si tratta di una vittoria di “tappa” (il Giro ancora non è finito) da ascrivere alla Federspev e a tutte le altre organizzazioni sindacali che in questi anni hanno con veemenza (ricordo a tutti la nostra manifestazione dei bastoni) reagito ai numerosissimi soprusi cui sono stati sottoposti i pensionati,considerati dalla politica “tutta” un vero e proprio bancomat in funzione dei bisogni economici dello Stato.

 

La censura è stata promossa dal tribunale del lavoro di Palermo,dalla Corte dei Conti di Emilia Romagna e Liguria  essenzialmente su due motivazioni:

1)    la presunta natura tributaria della misura ( non accolta) perché la Corte sostiene “ viene a mancare il requisito che consente l’acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato,poiché la disposizione non fornisce,neppure in via indiretta,una copertura a pubbliche spese,ma determina esclusivamente un risparmio di spesa”.

2)    Violazione (accolta) dei principi di proporzionalità e adeguatezza inerenti gli artt. 36 1° c. e 38 2° c. della Costituzione.

La Consulta ritiene che il legislatore sia andato oltre la discrezionalità che gli è consentita nella scelta del meccanismo di perequazione delle pensioni “ con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”.In particolare il blocco biennale della perequazione ha negato ai pensionati il loro legittimo interesse “teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite,da cui deriva in modo consequenziale una prestazione previdenziale adeguata”.

 

Va disapplicata,quindi,la norma relativa all’art.24 c.25 della legge 214/2011 ed applicata la norma preesistente ( legge 338/2000 art.69) che riconosce, relativamente alla perequazione, un aumento pieno (100 % ) per le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS,aumento al 90% per quelle comprese fra 3 e 5 volte il minimo e al 75% per quelle oltre 5 volte il minimo.

 

L’effetto sui conti pubblici è pesantissimo. Secondo l’Avvocatura dello Stato si aggirerebbe sui 5 miliardi,ma è una cifra sottostimata. Infatti in base ai dati INPS la mancata perequazione ha fatto risparmiare almeno 6 miliardi nei due anni 2012 e 2013,a cui va aggiunto l’effetto trascinamento per gli anni successivi per cui il conto potrebbe ammontare a 9/10 miliardi da restituire a circa 6 milioni di pensionati aventi diritto.

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