RELAZIONE CONGRESSUALE DEL PRESIDENTE POERIO

52° Congresso Nazionale FEDER.S.P.eV.

RELAZIONE DEL PRESIDENTE

Basta “RUBARE” ai pensionati:  lotta all’evasione, corruzzione, sprechi e priviliegi
Prof. Michele Poerio

Perugia – 24/26 Maggio 2015

Autorità, care colleghe e cari colleghi, care amiche e cari amici, stiamo attraversando un periodo di trasformazione epocale, un cambiamento che non è solo frutto della crisi che perdura ormai da 9 anni, ma che investe tutte le componenti della nostra vita quotidiana (welfare, politica, fisco, etica e religione) .
Prima di entrare nei temi della relazione, permettetemi di ricordare tutte quelle amiche ed amici che non sono più con noi oggi ma che, con spirito di sacrificio, hanno dato alla nostra Federazione un valido contributo e soprattutto ricordare il Past President Dott. Eumenio Miscetti, uno dei padri fondatori della nostra associazione. In loro ricordo vi chiedo un momento di raccoglimento ed un caloroso applauso.
Desidero, inoltre, rivolgere un sincero grazie alle autorità e ai nostri graditi ospiti per l’attenzione che ci dedicano.
Un affettuoso saluto e ringraziamento a voi tutti, care delegate e delegati, con la speranza che dai vostri interventi arrivino concrete proposte per ristabilire nei confronti dei pensionati equità e giustizia sociale ed esaltare il loro ruolo politico non solo in Italia ma nella Comunità europea.
Celebriamo oggi il nostro 52° congresso in un momento di grandissima difficoltà per il nostro Paese, per l’Europa e per gran parte del mondo.
L’attuale crisi, nata negli Stati Uniti come crisi finanziaria e tramutatasi successivamente in una crisi economica gravissima, la più grave dell’era moderna, ha rivoluzionato tutto: assetti sociali, politici ed economici dell’intero pianeta.
Prima di questa crisi eravamo uno dei paesi più ricchi d’Europa anche se, con le sue disuguaglianze, con il suo sistema fiscale iniquo, con una spesa pubblica fuori controllo, con uno sviluppo del territorio fortemente disomogeneo, ma eravamo comunque un paese ricco. Da tempo la FEDERSPEV, vox clamans in deserto, ha perorato una riforma del sistema fiscale e una lotta senza quartiere all’evasione-elusione fiscale, alla corruzione, ai costi della politica ed alla riduzione dei costi della spesa pubblica.
Ha fornito nel contempo un concreto sostegno agli investimenti nella scuola, nella ricerca, nei servizi alla persona e alla non autosufficienza, anche per incentivare l’occupazione in genere e quella giovanile soprattutto. Nessuno ci ha dato retta e siamo, così, arrivati ad una disoccupazione generale del 13,1% e ad una disoccupazione giovanile del 43% circa che rappresenta, oltre che un dramma per milioni di famiglie, anche un grave pericolo per le pensioni in essere e future.
Il nostro, infatti, è un sistema pensionistico a ripartizione, per cui i lavoratori attivi versano i contributi per pagare le pensioni future. Se si riduce, quindi, il numero dei lavoratori occupati, l’equilibrio salta e non ci saranno i soldi per pagare le pensioni.
Per contrastare la crisi tutti i vari governi di centro, di destra e di sinistra hanno aumentato le tasse, hanno bloccato pensioni e salari, hanno ridotto diritti e tutele, hanno operato (governo Monti) la più imponente controriforma del sistema previdenziale di tutti i tempi con un prelievo che nel periodo 2013/2020 supererà gli 80 miliardi di euro, come dimostra un rapporto attuariale dell’INPS.
Siamo rimasti l’unica nazione europea ancora in recessione, anche se qualcuno sostiene che si vede la luce in fondo al tunnel, mentre altri stati che stavano peggio di noi, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, stanno uscendo dalla crisi.
“Presidente Renzi non continui a penalizzare i pensionati che continuano a pagare un prezzo altissimo. Ripristini la rivalutazione piena delle pensioni e dia anche ai pensionati il bonus fiscale di 80 euro. Ricerchi i fondi necessari con una lotta senza quartiere all’evasione fiscale e alla corruzione. Mente chi dice che lo Stato non ha i mezzi per far pagare le tasse a tutti. Manca la volontà!
Faccia qualcosa per fermare la disoccupazione, soprattutto quella giovanile e risolva il problema della loro precarietà.
Il lavoro precario produce economia precaria. Un precario non può progettare il proprio futuro, non può metter su famiglia, non può accendere mutui. Un precario rischia seriamente una pensione da fame alla conclusione del suo iter lavorativo. Non può partecipare in modo attivo alla crescita del Paese.
La più grande preoccupazione delle persone anziane è l’avvenire dei loro figli e nipoti nei confronti dei quali serve un cambiamento drastico delle politiche”.


STATO DELL’ARTE PREVIDENZIALE – PENSIONE COMPLEMENTARE
In questo contesto generale é grave la situazione in cui si dibatte il nostro sistema previdenziale dopo i ripetuti e pesanti abbattimenti operati sulle pensioni dei dipendenti pubblici e privati, con i vari blocchi della perequazione ed i vari contributi di solidarietà effettuati negli ultimi nove anni, con una perdita del potere di acquisto delle nostre pensioni di oltre il 25%. E non meno grave è la situazione pensionistica dei nostri giovani, il cui futuro previdenziale vedo nero se non si realizzerà una urgente revisione dei meccanismi di rivalutazione e se non si realizzerà una vera previdenza integrativa che, ad oggi, nel pubblico impiego non è ancora partita. La previdenza complementare é indispensabile per tutti, ma soprattutto per i lavoratori che hanno iniziato la loro attività dal’1/01/1996 e per quelli con carriere discontinue. È indispensabile per i lavoratori dipendenti, per i lavoratori autonomi e per i liberi professionisti. Da rilevare che gli autonomi e i liberi professionisti versano aliquote inferiori (rispettivamente il 24% e il 16% rispetto al 33% dei lavoratori dipendenti) e quindi avranno pensioni più basse. Prendendo, infatti, l’ultima dichiarazione dei redditi la maggior parte degli italiani dichiara un reddito medio mensile di € 1.250. Il tasso di sostituzione (rapporto tra prima pensione e ultimo stipendio) per un lavoratore dipendente che non ha avuto interruzioni di carriera sarà del 70% circa dell’ultimo stipendio e del 60% per un lavoratore autonomo. La pensione, quindi, sarà rispettivamente di € 875 e 750. Un importo che non consente il mantenimento di un discreto tenore di vita. Ma quanto costa aumentarsi la pensione del 20%? Versando per 40 anni € 65 al mese che, al netto delle tasse, non superano i € 49. Se poi si tratta di un lavoratore dipendente, la metà la paga il datore di lavoro.
E’ evidente che non si tratta di un impegno gravoso e forse lo farebbero in tanti se lo Stato o gli enti pubblici informassero adeguatamente i cittadini. Il 30 aprile 2015 il presidente INPS, Tito Boeri, ha finalmente inaugurato la cosiddetta “busta arancione” da lui ridefinita “la mia pensione”. Si tratta di un simulatore digitale interattivo messo a punto dall’INPS che permetterà di ottenere gratuitamente e online il computo del futuro assegno pensionistico: Potranno accedervi i lavoratori dipendenti under 40 pubblici e privati che potranno così conoscere l’entità della pensione maturata e la proiezione dell’assegno finale in base ai contributi da versare. A partire da giugno potranno accedervi anche gli under 50 ed entro la fine dell’anno 18 milioni di lavoratori. Da rilevare, inoltre, gli effetti perversi che la deflazione rischia di avere sull’assegno di chi, nei prossimi anni, si ritirerà dal lavoro, intendendo per deflazione un calo del livello generale dei prezzi. È l’opposto dell’inflazione, ossia il processo di graduale aumento dei prezzi. Con il sistema contributivo la pensione sarà, infatti, un frutto dei contributi che i lavoratori avranno accumulato e che ogni anno l’INPS rivaluta. Un po’ come quando si portano, o meglio sarebbe dire si portavano, i soldi in banca e gli istituti di credito pagavano un interesse. Il tasso d’interesse pagato dall’INPS, in base alla legge Dini 335/95 è pari alla crescita media del PIL nominale nei 5 anni precedenti (il PIL nominale, detto in soldoni, è la somma tra il PIL reale e l’inflazione).
Ed ecco il problema: se il PIL non cresce e l’inflazione arretra, diventando deflazione, come purtroppo sta accadendo, i contributi versati all’INPS, invece di aumentare diminuiscono. Una beffa: è come se si portassero 1.000 euro in banca e l’anno dopo se ne trovassero 990. Ed è quello che è successo nel 2014 quando si è avuto un tasso di capitalizzazione di segno negativo stimato a meno 0,024%. Per la prima volta, insomma, 1.000 euro accantonati dall’INPS tradotti in pensione varranno 999,90 euro. Non era mai successo che il montante contributivo fosse a rischio erosione. È la prima volta in assoluto da quando esiste il sistema contributivo. Un solo anno, ovviamente, incide poco nel conteggio finale, ma se la crisi dovesse essere lunga e la crescita una chimera, allora sarebbero guai seri. In proiezione, quindi, se il PIL, che misura la capacità produttiva e la crescita dell’economia,
aumentasse in media dell’1, 5-2% anno un lavoratore dipendente di 30 anni quando lascerà il lavoro incasserebbe una pensione pari al 71% dell’ultimo stipendio. Ma se la crescita del PIL fosse zero, quella stessa pensione non supererebbe il 45% circa dell’ultimo stipendio. Se non si ricomincia a crescere, insomma, e se non arriva un po’ di “sana” inflazione saranno dolori per i futuri pensionati. I 20/40enni di oggi potranno trovarsi un tasso di sostituzione netto (rapporto tra la prima pensione e l’ultima retribuzione netta) compreso tra il 40 e il 70/75%. Nella migliore delle ipotesi saranno quasi allineati alle pensioni retributive, nella peggiore alla metà. Pertanto, ad esempio, se un lavoratore dipendente trentenne che oggi ha un reddito netto di 1.000 euro non avrà un’attività contributiva continuativa, ma lunghi periodi di sospensione (senza contributi) quando andrà in pensione prenderà, nella peggiore delle ipotesi, circa 400 euro netti, e cioè oltre 100 euro in meno dell’attuale minimo, senza possibilità alcuna di avere l’integrazione al minimo da parte dello Stato, come avviene ora.
Si tratta quindi di un gravissimo problema che dovrà essere risolto a livello politico, dando maggiore stabilità al mercato del lavoro che, secondo il Presidente Renzi, dovrebbe realizzarsi con il Jobs Act, ma che personalmente vedo poco realistico, anche alla luce degli ultimi dati ISTAT sulla disoccupazione passata a marzo dal 12,7 al 13,1%.
La politica “tutta”, invece di scagliarsi contro i “pensionati d’oro” a 2 - 3.000 euro mensili lordi che, dopo una vita di lavoro ed “effettive” contribuzioni, usufruiscono di un’ “onesta” pensione, farebbe meglio a:
1) diminuire i suoi esorbitanti costi;
2) favorire la piena occupazione e riaprire la stagione contrattuale bloccata da sei anni;
3) rivalutare i montanti contributivi, modificando il ridicolo parametro della variazione del PIL quinquennale;
4) incrementare i coefficienti di trasformazione anche mediante l’incremento delle aliquote contributive;
5) dividere nettamente la previdenza dall’assistenza;
6) razionalizzare le risorse umane dell’INPS contenendo i costi di gestione, lottare contro le false pensioni di invalidità, contro le pensioni e i vitalizi frutto dei privilegi e di pluri incarichi, contro l’evasione contributiva, contro la spaventosa evasione-elusione fiscale (100 miliardi anno), contro la corruzione (60 miliardi anno). (Dati Corte dei Conti).


LEGGE DI STABILITÀ 2015
Cosa ha fatto, invece, il Governo con la legge di stabilità 2015?
- Ha aumentato l’imposta sostitutiva sulle rivalutazioni dei fondi TFR dall’11 al 17%;
- ha ridotto le esenzioni fiscali di cui godevano le polizze vita private e no profit;
- ha raddoppiato quasi (dall’11,5 al 20%) la tassazione sul risultato netto maturato dai fondi delle pensioni integrative, per cui l’Italia diventerà l’unico paese europeo dove si colpisce la previdenza integrativa invece di incentivarla. Questa manovra rischia di distruggere la previdenza integrativa, quella che doveva consentire alle giovani generazioni di crearsi un secondo pilastro previdenziale;
- ha colpito le casse previdenziali private (quindi l’ENPAM) la cui tassazione sui redditi di natura finanziaria passa dal 20 al 26%, anche con effetto illegittimamente retroattivo per il 2014. Il che comporterà gravi ripercussioni sulle future pensioni.
Unico elemento positivo di questa legge di stabilità è che non ha previsto ulteriori penalizzazioni sulle pensioni in essere.
La politica, però, dovrebbe rammentare che il risparmio previdenziale merita una grande attenzione perché è l’unico che consente di proteggerci dal cosiddetto rischio di longevità (cioè che la vita effettiva sia più lunga di quella attesa) con il pericolo che i futuri anziani non abbiano risorse sufficienti per i loro bisogni.
Inoltre, aumentando l’imposizione sui fondi pensione si va contro quel modello europeo chiamato EET, acronimo che sta per “esenzione, esenzione, tassazione”: esenzione per i contributi alla previdenza integrativa, esenzione dal reddito da investimento degli enti previdenziali, tassazione delle prestazioni pensionistiche (generalmente molto più bassa di quella italiana: una pensione di € 1.500 lordi mensili, infatti, paga in Italia € 4.000 anno di tasse, in Spagna 1.700, in Inghilterra 1.400, in Francia 500, in Germania 39. Una pensione di € 10.000 anno in Italia paga 1.000 € di tasse, mentre nei succitati paesi è esentasse).


QUESTIONE BOERI
È stato il regalo di Natale ai pensionati del Presidente Renzi che, il 24 dicembre scorso, nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno 2014, ha chiamato alla presidenza dell’INPS Tito Boeri, professore bocconiano.
Nulla da eccepire sul curriculum accademico del prof Boeri, anche se, logica ed esperienze pregresse (professori Monti e Fornero su tutte), avrebbero forse consigliato fosse individuata una personalità di ampia e consolidata esperienza e competenza in campo manageriale e politico-sociale.
Boeri, fra l’altro, è molto affezionato ad una sua vecchia ipotesi di taglio delle attuali pensioni retributive superiori a € 2–3.000 lordi mensili da ricalcolare con il meccanismo contributivo al fine di ricavare circa 4 miliardi di euro anno da destinare in modo permanente ad “un fondo di solidarietà intergenerazionale”, finalizzato a corroborare le anemiche pensioni dei futuri pensionati soggetti al meccanismo di calcolo contributivo (cioè i dipendenti assunti dallo 01/01/96).
Più recentemente, come già ho avuto modo di farvi rilevare in un mio articolo scritto in collaborazione con Carlo Sizia, il nostro bocconiano pare abbia maturato l’ipotesi di un prelievo forfettario sulle pensioni in godimento sulla base dell’importo della pensione stessa (naturalmente battezzata “d’ oro” in quanto di natura “retributiva”), anche perché, nel pubblico impiego, non sarebbe possibile risalire con certezza alla storia contributiva di ogni singolo pensionato, vecchia anche di 40-50 anni.
Vediamo come potrebbe concretizzarsi la malaugurata “ipotesi Boeri”.
Ai fini della “equità”, autocertificata dal prof. Boeri in persona:
a) le pensioni di circa 1,3 milioni di pensionati (con misura della pensione tra € 2.500 e 5.000 lordi/mese) verrebbero abbattute del 3% (con perdite medie di € 90/mese, cioè € 1.170/anno), per produrre circa 1,5 mld/anno di risparmi;
b) le pensioni di circa 128.000 pensionati (con misura della pensione tra € 5.000 e 10.000 lordi/mese) verrebbero decurtate del 6% (con perdite medie di € 370/mese, circa € 4.800/anno) per produrre un risparmio di circa € 614 milioni anno;
c) le pensioni con importi tra 10.000 e 20.000 euro lordi/mese (circa 8.500 persone) verrebbero abbattute del 9% (con perdita mensile di € 1.000 e 13.000 in termini annuali) per produrre circa € 110 milioni anno di risparmio;
d) infine le pensioni oltre i 20.000 € lordi/mese (non più di 600 unità) verrebbero tagliate del 12% (con perdita mensile di € 2.800 e 36.000 annuali) con risparmio di circa € 22 milioni anno.
Le pensioni verrebbero quindi abbattute in percentuale crescente rispetto alla misura dell’assegno e sull’intero importo spettante ed il taglio sarebbe permanente: insomma si tratterebbe di un vero esproprio proletario di sovietica memoria, più grave del già dichiarato incostituzionale “contributo di solidarietà”, che almeno era provvedimento transitorio e su quota-parte della pensione. Poiché nell’ipotesi prima sviluppata i risparmi prodotti si fermerebbero a circa 2,5 mld di euro/anno (anziché i 4-5 previsti) e per prevenire una macroscopica lesione dei principi di uguaglianza di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione (anche considerando l’uso improprio del sistema previdenziale in funzione fiscale e tributaria), sarebbe da ipotizzarsi (a nostro giudizio) anche un prelievo minimo dell’1% sulle pensioni dei 15 milioni di pensionati (sempre titolari di pensioni retributive) con importo dell’assegno fino a 5 volte il minimo INPS (circa € 2.500 lordi/mese), con perdita media di € 10/mese, cioè € 130/anno. In questo modo si produrrebbero circa € 2 mld anno di ulteriore risparmio previdenziale per complessivi 4,5 mld, che si ridurrebbero a meno di 4 mld di risparmio effettivo per il minor prelievo fiscale conseguente.
Senza quest’ultimo prelievo, bisognerebbe ulteriormente infierire sempre e solo sui “soliti noti”: cioè i pensionati con più di € 2.500 lordi/mese.
Noi riteniamo l’ipotesi Boeri anzidetta (se così dovesse risultare “a carte scoperte”) del tutto “folle”, infatti:
- se già è illegittimo ed anticostituzionale applicare oggi alle pensioni retributive, correttamente liquidate, il nuovo calcolo contributivo, a maggior ragione stride un prelievo forfettario sulle pensioni in atto con criteri “distinti e distanti” sia rispetto alla logica del calcolo retributivo di ieri, sia del calcolo contributivo di oggi;
- anche qualora venisse confermato il prelievo forfettario sulle pensioni retributive in atto (quelle di maggiore importo, o tutte), le risorse risultanti non potrebbero comunque essere attribuite ai futuri pensionati con metodo di calcolo contributivo, perché non si tratterebbe comunque di contributi versati ed utilizzabili, ma servirebbero solo a sanare una parte del debito pubblico italiano;
- l’ipotesi folle ed irresponsabile che abbiamo prima sviluppato servirebbe invece a derubricare le pensioni retributive in atto a pensioni contributive di fatto (e senza neppure il bisogno di ricalcolarle), infatti le pensioni retributive di oggi hanno un tasso di sostituzione anche dell’80-85%, mentre le pensioni retributive dopo i tagli già subiti (15%) ed i nuovi tagli ipotizzati (anche del 10-12%) verrebbero abbattute d’autorità ad un tasso di sostituzione attorno al 50-55% circa, in analogia alle future pensioni contributive ed a parità di anzianità di contributi versati. I dati anzidetti sono stimati ed approssimativi, ma assolutamente attendibili, visto che traggono concretezza dalle cifre, in materia di numero di pensionati e relativa misura delle pensioni, fornite dai bilanci consuntivi INPS del 2012 e 2013.
Ci rendiamo conto dell’affanno del Governo Renzi nel “far cassa” a tutti i costi per evitare che scattino le norme di salvaguardia previste dall’ultima legge di stabilità a far data dal 1° gennaio 2016 (+ 2% dell’ IVA ad aliquota ordinaria; elevazione al 10% dell’IVA ridotta; incremento dell’ accisa sui carburanti), ma questa volta il Governo è all’ angolo, infatti sulla casa ha già infierito, come sui pensionati oltre 3 volte il minimo INPS, quindi per pudore e dignità è obbligato a tagliare su sé stesso, cioè sulla corruzione, sull’ evasione, sugli sprechi, cioè su quell’humus su cui vive e prospera la politica, anzi la “malapolitica”.
Al Prof. Boeri, la cui carriera è stata finora senza inciampi, anche favorita dal bell’aspetto e dal capello in voluto disordine, ricordo come sia facile finire dagli altari nella polvere, come è già capitato ai colleghi Elsa Fornero e Mario Monti, che credevano anch’ essi di passare alla Storia in senso positivo tra ovazioni e titolazione di strade.
Se ai pensionati sarà inferto un ulteriore schiaffo, oltre a quelli già subiti, e nonostante che essi già contribuiscano al fisco (e senza evadere) secondo aliquote ordinarie, in analogia ai percettori degli altri redditi, oltre che adire le vie legali in ogni sede, nazionale ed europea, non rimarrà che ricorrere alle armi della disubbidienza civile e del “non voto” in via permanente. Meglio astenersi, quindi, dal produrre ulteriori guasti alle pensioni, salvo pagarne le conseguenze, in particolare la perdita di credibilità, sia in termini tecnici che politici.
Sarebbe invece molto più utile adoperarsi per distinguere nettamente, nella gestione INPS, quanto è previdenza in senso proprio rispetto al 30% circa di risorse che vengono impiegate per interventi e provvedimenti di natura socio-assistenziale.
Poco importa al Prof. Boeri che questa sua ipotesi cozzi contro principi costituzionali consolidati (artt. 3, 36, 38, 53, 97), nonché contro gli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e contro le censure che la Corte Costituzionale ha già espresso (sentenze 30/2004, 316/2010, 223/2012 e 116/2013) laddove ha ravvisato che sono stati intaccati i principi di adeguatezza delle pensioni, di rispetto dei diritti quesiti, di ragionevolezza e proporzionalità. Come poco tiene in considerazione le smentite al suo progetto da parte del Ministro del lavoro Poletti e del neo Commissario alla Spending Review Gutgeld.
Da rilevare, però, che fino a qualche mese addietro sia Poletti che Gutgeld sostenevano ipotesi ben diverse circa ulteriori tagli e penalizzazioni delle nostre pensioni. Possiamo, quindi, noi pensionati “stare sereni”? Non vorrei che le malaugurate “ipotesi Boeri” per ora fossero celate nella nebbia per non creare allarmi prima delle consultazioni delle regionali prossime.
Sono sempre più profondamente convinto, nonostante le varie smentite, che prossima sarà un’altra manovra di riassetto della previdenza: il punto sta nel capire dove si interverrà e con quali mezzi. Il governo Renzi sembra essersi impegnato a valutare e a discutere entro la fine del 2015, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione 2012/13.
Il 7 maggio u.s. è stata pubblicata in G.U. la sentenza n° 70/2015 con la quale la Corte Costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione per tutte le pensioni superiori a tre volte il minimo INPS (1.405 € lordi mensili dell’epoca) per gli anni 2012/2013 deciso dal governo Monti. Si tratta di una vittoria di “tappa” (il Giro ancora non è finito) da ascrivere alla Federspev e a tutte le altre organizzazioni sindacali che in questi anni hanno con veemenza (ricordo a tutti la nostra manifestazione dei bastoni) reagito ai numerosissimi soprusi cui sono stati sottoposti i pensionati,considerati dalla politica “tutta” un vero e proprio bancomat in funzione dei bisogni economici dello Stato.
La Consulta ritiene che il legislatore sia andato oltre la discrezionalità che gli è consentita nella scelta del meccanismo di perequazione delle pensioni “con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”.In particolare il blocco biennale della perequazione ha negato ai pensionati il loro legittimo interesse “teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale una prestazione previdenziale adeguata”. L’effetto sui conti pubblici è pesantissimo. Secondo l’Avvocatura dello Stato si aggirerebbe sui 5 miliardi,ma è una cifra sottostimata. Infatti in base ai dati INPS la mancata perequazione ha fatto risparmiare almeno 6 miliardi nei due anni 2012 e 2013, a cui va aggiunto l’effetto trascinamento per gli anni successivi per cui il conto potrebbe ammontare a 18/19 miliardi da restituire a circa 6 milioni di pensionati aventi diritto. La Corte era già intervenuta in materia di perequazione con la sentenza 316/2010, ma in quella occasione il blocco, che riguardava le pensioni 8 volte il minimo INPS, aveva superato il vaglio di Costituzionalità nel senso che trattandosi di importo piuttosto elevato le pensioni presentavano “margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo”. Ammonendo, però, nel contempo, il legislatore a non più reiterare tali blocchi. Perché “le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”. E la sentenza 70 censura esplicitamente proprio il fatto che “non è stato ascoltato il monito anzidetto”.
I recuperi potranno andare dai 4.700 € circa per le pensioni 4 volte il minimo INPS ai 10.000 € per le pensioni 10 volte il minimo (dati Sole 24 ore).
Mi sorge, quindi, spontanea una domanda : cosa farà il governo? Sicuramente cercherà di limitare i danni con vari accorgimenti:il Presidente Renzi ha annunciato una restituzione “una tantum” per il prossimo primo agosto di 500 € per tutti i pensionati fino a 3.000 € lordi mensili. Ci rendiamo conto della situazione economica del Paese e siamo disposti a discutere su una eventuale rateizzazione delle somme spettanti. In caso contrario si aprirà un nuovo contenzioso con i titolari delle pensioni più elevate che chiedono,a gran voce, l’applicazione integrale della sentenza con restituzione del dovuto a tutti.
Ma, intanto, trascorreranno anni e non è detto che la Consulta di fronte a penalizzazioni delle pensioni più elevate boccerebbe il provvedimento. Noi, comunque,continueremo a stare vigili!
E su questo tema sono paradigmatici, nonostante le smentite di Poletti, i continui interventi di Boeri con le sue elaborazioni nella direzione di additare i dirigenti dell’INPDAI, i telefonici, il personale di volo e i ferrovieri come destinatari di indegni privilegi, come se fossero gli unici in Italia, mentre manca una analisi complessiva di come il retributivo premi soprattutto le pensioni più basse. Il Ministro Poletti ha ribadito, poi, come sia in atto uno studio preliminare, condotto anche da Boeri, sulla flessibilità del sistema previdenziale a tutela soprattutto dei lavoratori tra i 55 e 65 anni che sono fuori dal mercato del lavoro senza possibilità di accesso alla pensione. Sacrosanta questa ipotesi, ma è inaccettabile pensare di reperire i fondi necessari a spese delle pensioni retributive, come vorrebbe fare Boeri, penalizzando gli attuali pensionati (già depredati per ben sei volte negli ultimi nove anni).
Sempre Poletti attacca, inoltre, la proposta di ricalcolo di Boeri perché in primo luogo, afferma Poletti, gli assegni più alti già subiscono un meccanismo di contributo di solidarietà e in secondo luogo sarebbe un’operazione non solo complessa dal punto di vista amministrativo, ma che rischierebbe di creare confusione nei cittadini e grande malcontento. Ma c’è da crederci? La mia opinione è che, in un modo o nell’altro, almeno le pensioni da € 2.500 – 3.000 lordi mensili verranno colpite e che Boeri non si trovi lì per caso ed in contrasto con le idee di Renzi-Poletti-Gutgeld, ma anzi sia strumentale a loro, in un gioco di squadra accuratamente progettato.


PATTO FEDERATIVO A TUTELA DEGLI ANZIANI
I bisogni e le necessità delle persone anziane che rappresentano oltre il 20% della popolazione italiana sono quasi completamente ignorati.
E proprio in questa ottica sono riuscito a realizzare una mia vecchia idea alla fine di un intenso e faticoso lavoro protrattosi per tutto il 2014: insieme ad 8 fra le maggiori associazioni nazionali di persone “più avanti in età” abbiamo dato vita nello scorso febbraio ad un “patto federativo a tutela degli anziani” per promuovere in modo più efficace gli interessi e i diritti degli anziani. Il patto federativo è stato firmato individuando un terreno comune nella valorizzazione del contributo degli anziani nella società e nella difesa dei loro diritti, con particolare riferimento alle pensioni ed alla tutela della salute, in un contesto di dialogo intergenerazionale.
Le associazioni firmatarie del patto rappresentano a vario titolo milioni di anziani impegnati attivamente in più settori, dal volontariato al sociale, smentendo così l’errata convinzione, oggi molto diffusa, che identifica negli anziani una componente della società esclusivamente consumatrice di risorse, colpevole di avere troppo e quindi di costare troppo in termini di spesa previdenziale, sanitaria e sociale. Non si dice, però, che i pensionati pagano quasi un terzo di tutta l’IRPEF riscossa in Italia. Non si dice che i nonni ed i padri sono i più importanti ammortizzatori sociali italiani per gli aiuti ai figli e nipoti disoccupati o sottoccupati, con una spesa annua di oltre 6 miliardi di euro. Non si dice che i disabili ed i non autosufficienti non hanno una legislazione adeguata, né una rete di servizi decenti. Non si dice che la nostra spesa sanitaria è significativamente più bassa di quella dei più importanti paesi europei quali Germania, Francia e Inghilterra e si continua a ragionare in termini di costi e non in termini di diritti e bisogni. In questa situazione sconfortante gli ultimi governi non hanno dato risposte adeguate.
Abbiamo aumentato i confronti con i parlamentari i quali non ci possono dire sistematicamente che abbiamo ragione, ma che però ci sono altre priorità e che a tempo debito saremo adeguatamente risarciti (forse, aggiungo io, non più penalizzati). Dobbiamo spiegare all’opinione pubblica cosa sta succedendo e di chi sono le responsabilità di questo disastro economico, sociale e produttivo. In questo periodo il mondo politico è in grande evoluzione. Stiamo assistendo alla polverizzazione del centro-destra ed alla spaccatura del PD e del centro sinistra, anche i grillini e la Lega sono in grande fermento. Noi stiamo cercando, anche se invano, il dialogo con il governo per aiutarlo a trovare risorse per finanziare la ripresa economica.
Sono indispensabili politiche rigorose per combattere e sconfiggere la corruzione, l’evasione, i privilegi. È necessaria una riforma fiscale che faccia pagare le tasse a quanti finora hanno fatto i furbetti. Serve una riforma delle spesa pubblica, senza tagli lineari che danneggiano i virtuosi e riducono servizi e prestazioni, ma in base ai principi dell’appropriatezza e della razionalizzazione. Si deve assolutamente evitare la costante occupazione della “cosa pubblica” da parte della politica. 

EUROPA, ANZIANI E LONG TERM CARE 

La FEDERSPEV, in quanto aderente tramite CONFEDIR, alla CESI (Confederazione europea dei sindacati indipendenti) ed al CESE (Comitato economico e sociale europeo) partecipa attivamente alle politiche in difesa di pensionati e degli anziani in seno alla Comunità europea. Purtroppo un’ iniziativa promossa in collaborazione con altre associazioni, al fine di garantire a tutti i cittadini europei non autosufficienti e disabili di ogni età cure adeguate e un’assistenza di lunga durata, non ha al momento ottenuto risultati positivi. La Commissione europea ha prima respinto poi congelato questa iniziativa. Si è trattato di un atto grave e ingiustificato che segna una pericolosa rottura con il mondo dei pensionati e degli anziani, considerando che il dramma della non autosufficienza interessa e interesserà in futuro sempre più ogni nazione europea, alla luce degli ultimi dati demografici.
Ancora una volta nella Commissione europea hanno prevalso considerazioni burocratico–contabili che da tempo ispirano la politica comunitaria. Continueremo, comunque, a fare pressioni perché riteniamo che questo tema di importanza strategica per milioni di cittadini sia affrontato a livello europeo, oltre che nazionale. E stiamo valutando la possibilità di fare ricorso perché è indispensabile che la Comunità europea non guardi più ai soggetti deboli, ed in particolare agli anziani e pensionati, esclusivamente come sorgente di spesa a fondo perduto, ma cittadini su cui investire e a cui richiedere in cambio prestazioni compatibili con l’età e con la loro posizione nella società civile.
ANZIANI E WELFARE (CHE NON C’È)
Serve una riforma del welfare state non per ridimensionarlo ma per adattarlo ad un mondo profondamente cambiato. È indispensabile una grande trasformazione di tutta la società per adeguarla ad una popolazione che invecchia e contemporaneamente per dare futuro e speranza ai giovani.
Serve, infine, una riforma dell’Europa che rimetta al centro l’unione politica e sociale, il lavoro, l’equità, la solidarietà. Se non cambiamo, Italia ed Europa sono destinati ad un declino inarrestabile. Non possiamo, però, arrenderci al decliniamo e al pessimismo perché siamo un Paese pieno di risorse, di professionalità, di persone che ogni giorno si impegnano con serietà e passione. Dobbiamo puntare a costruire insieme un buon futuro per una società che invecchia. Un buon futuro per tutti, giovani, adulti e anziani. Se consideriamo che la fascia di popolazione anziana rappresenta oltre il 20% del totale della popolazione ed è destinata a crescere, è facile comprendere come le notevoli criticità legate alla sua assistenza non possono essere trascurate. La crisi economica, le forti disuguaglianze sociali, i profitti ingiusti e i tagli governativi hanno creato una situazione di grande difficoltà verso le politiche di solidarietà e del welfare in generale a causa delle sempre più scarse risorse messe a disposizione di coloro che sono tenuti a farvi fronte.
(Una società civile si misura soprattutto sulla capacità di tutelare i cittadini più fragili). È una strada in salita e piena di ostacoli quella che deve affrontare una famiglia quando deve prendersi cura di un malato cronico o non autosufficiente soprattutto se anziano. Ad alcune è possibile far fronte per proprio conto ma a patto di sostenere costi assistenziali alti.
Ogni famiglia, quando può, spende mediamente oltre € 14.000 l’anno per assistere questi malati. Praticamente più del doppio della cifra eventualmente percepita a titolo di indennità di accompagnamento pari a circa € 5.500 anno.
Deficitaria è la continuità assistenziale e l’assistenza domiciliare integrata (ADI) che viene erogata solo in alcune realtà regionali. L’assistenza farmaceutica è mediamente rispondente ai bisogni dei pazienti. Le politiche pubbliche sanitarie e sociali puntano essenzialmente all’economicità dell’azione statale ed al contenimento della spesa nel breve periodo, piuttosto che al raggiungimento dell’obiettivo di salute della popolazione ed al contenimento dei costi nel lungo periodo. Aumentano i ticket per diagnostica – specialistica – farmaci.
Cosa fare?
È necessario entrare in una nuova ottica secondo cui un sistema di welfare virtuoso ed adeguatamente finanziato non rappresenti un costo per il Paese ma al contrario un fattore di sviluppo e un volano per l’economia. Bisogna quindi ridefinire e approvare i livelli essenziali di assistenza (LIVEAS), rifinanziare i fondi nazionali a carattere sociale, riorganizzare l’assistenza sanitaria territoriale, garantendo uniformemente i LEA definiti dall’AIFA in ambito farmaceutico e aggiornare l’elenco ministeriale delle patologie croniche, invalidanti e rare, nonché il nomenclatore tariffario dei presidi, delle protesi e degli ausili.


PENSIONI DI REVERSIBILITÀ
Renzi era partito lancia in resta contro le pensioni di reversibilità nello studio televisivo di Servizio Pubblico il 7 novembre 2013 parlando di sua nonna Maria, vivace vecchina di 93 anni “Chi l’ammazza, ha detto l’affettuoso nipote, mia nonna ha avuto la pensione di reversibilità quando aveva 6 figli. E’ stato giusto ma continua a percepirla ancora, € 3.000 al mese (non specifica se lordi o netti) nonostante i figli siano piuttosto grandi”.
Non ha aggiunto altro ma il segnale è molto chiaro. La conferma, infatti è venuta qualche tempo dopo dall’attuale Commissario alla Spending Review ed esperto in questioni economiche Yoram Gutgeld: “La reversibilità in Italia è molto alta, circa il 30/40% in più del resto dell’Europa”, senza precisare però che in Italia i contributi sono molto più elevati. Nel bilancio INPS la spesa per le pensioni ai superstiti è di 39 miliardi per circa 4 milioni di pensioni erogate con un importo medio di € 565. Certo è la media dei polli di Trilussa, ma con questa cifra è difficile andare a pescare privilegi corposi. Si tratta di un approccio approssimativo e pauperista di questi due nostri governanti secondo cui la discriminante per le riduzioni degli assegni di reversibilità è il reddito del superstite e non il montante contributivo che ha generato la pensione del de cuius. L’approccio, quindi, è di tipo quantitativo: se il superstite ha un reddito dichiarato sufficientemente elevato, si provvede alla decurtazione che, però, comporta due gravi errori di fondo: il primo è che verranno colpite le vedove colpevoli di avere una propria pensione tassata alla fonte o una seconda casa tartassata di balzelli, mentre i superstiti dei soliti evasori furbetti godranno dell’intera pensione spettante. Il secondo è rappresentato dalla cosiddetta continuità del reddito.
Potrebbe verificarsi che il superstite abbia un mutuo, che sia impegnato a fare studiare i figli o che abbia un anziano a carico, ma questi elementi non possono essere presi in considerazione da un legislatore superficiale. Il furto legalizzato a carico dei superstiti inizia con la legge Dini 335/95 art. 1c.41 con annessa tabella F), che prevede abbattimenti sostanziali in rapporto al reddito del superstite. Ad esempio, se la persona deceduta aveva maturato una pensione di € 1.500 mensili, il superstite, lavoratore attivo o pensionato con un reddito mensile di € 1.700, percepirà una pensione di € 450 anziché di 900 € (il 50% del 60%). È uno scandalo perché la pensione maturata dal defunto era sostenuta da contributi effettivamente versati che sono costati sacrifici non solo al deceduto, ma all’intera famiglia. Vado a concludere non prima di ringraziarvi per l’attenzione con la quale avete seguito la mia relazione.
Ringrazio gli amici umbri ed in particolare la Presidente del Congresso Prof.ssa Norma Raggetti per il suo notevole contributo organizzativo, come pure gli amici del Direttivo Nazionale e dell’Esecutivo. Non posso non segnalare il Dott. Paolo Quarto per le sue puntuali consulenze previdenziali.
La nostra addetta stampa Flavia Marincola diventa sempre più brava, ha anche superato l’esame di giornalista pubblicista presso l’Ordine dei giornalisti di Roma.
Ma un ringraziamento particolare deve andare al più importante pilastro della nostra sede romana la Dott.ssa Naria Colosi con la collaborazione di Lucilla e Caterina.
Abbiamo creduto nel nostro lavoro, nella necessità di discutere di tutta la problematica che investe gli anziani, nel convincimento profondo che la FEDERSPEV esiste, è viva e sicuramente darà il suo contributo determinante a difesa dei sacrosanti diritti dei pensionati.
Viva la FEDERSPEV !!!

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